Buona lettura.
“Ti va
di raccontarne un'altra?”
Non so
quando questo è diventato il nostro nuovo rito. So, però, che ne
sono diventata dipendente in fretta.
Baguette
è brava nel raccontare storie. Alcune le inventa, alcune (quelle per
il cui ascolto mi sento più in colpa) le riporta dai libri proibiti
che prende a casa di Rose Johnson.
La sua
voce cambia, quando inizia a raccontare. Diventa più bassa, più
calma.
Mi piace
ancora di più.
L'ascolterei
per ore, immaginando i volti dei personaggi che descrive, i luoghi in
cui non siamo mai state e le vicende più strane, più divertenti,
più elettrizzanti.
Lo
chiamiamo il nostro nuovo rito perché tutto avviene seguendo
determinati passi. Quando Baguette racconta una storia, siamo
entrambe sdraiate sul suo letto, ad osservare il soffitto dipinto a
strisce bianche e azzurre. Lei sistema la testa sul braccio che ha
piegato sotto la nuca, e io mi giro a guardarla ogni tanto, per
osservare il suo viso e i suoi occhi.
Oggi i
racconti non erano in programma.
Sono
venuta qui per leggerle la bozza finale del discorso per il diploma,
ma quando mi ha accolta in casa lo ha fatto con il naso immerso in un
libro (uno di quelli vecchi, di carta), dicendo, senza neppure
guardarmi: “Mi mancano trenta pagine, ci parliamo alla fine.
Entra.”
Mi ha
guidata in camera sua, mi ha indicato distrattamente la poltrona
sulla quale mi siedo sempre e si è lanciata con la schiena sul letto
per continuare a leggere.
Siamo
rimaste così per quarantacinque minuti. Lei a leggere, io ad
osservarla rapita come mai prima d'ora.
Quando
ha chiuso il libro, si è messa a sedere, lo ha stretto al petto, ha
scostato i capelli biondi dal viso e ha sussurrato: “Ho appena
letto la storia più bella del mondo. Devo raccontartela. Dall'inizio
alla fine. Vieni qui,” ha detto, battendo una mano sulla coperta,
accanto a sé.
E così
ci siamo distese, e per quasi un'ora l'ho ascoltata parlare di una
donna che è stata separata dal figlio alla nascita e ha trascorso il
resto della sua vita cercando di ritrovarlo. Quando ci è riuscita,
ha scoperto che il bambino, ormai uomo, aveva una nuova madre, una
nuova famiglia, e non aveva intenzione di separarsene per seguire
quella che, per lui, era una perfetta sconosciuta.
Alla
fine del racconto, ho fatto a Baguette le solite domande che fanno
parte del nostro rito. Chi ha scritto il libro? Quando? Com'era
l'autore (in questo caso l'autrice)? Ha scritto altri libri? Perché
ti è piaciuto così tanto?
Non so
perché (e, francamente, preferisco non pensarci), ma quando parliamo
di libri, le mie remore rispetto agli oggetti e agli argomenti
proibiti svaniscono. Non so se è merito di Baguette e della sua voce
ipnotizzante, o se la mia curiosità è più forte del timore di
essere scoperta, ma quando sono distesa ad un palmo da lei, non ho
poi così tanta paura a chiedere. Ad espormi.
A volte
devo frenare le domande. So che Baguette risponderebbe più che
volentieri, parlandomi di quella parte del passato che ha imparato a
conoscere grazie alla signora Johnson. Il problema è che temo di non
riuscire davvero a fermarmi. Di cadere in quella spirale del proibito
di cui non posso e non voglio far parte.
Tuttavia,
oggi ho ceduto.
E' per
questo che ora osservo Baguette con gli occhi larghi, in attesa che
risponda alla mia domanda.
“Un'altra
storia? Vuoi che ne racconti un'altra?”
“Sì,”
rispondo, e nel farlo, nel guardarla negli occhi, spero
silenziosamente che accetti.
“D'accordo,”
dice annuendo. “Fammi pensare.” Unisce le labbra in una linea
pallida e abbassa le palpebre, muovendo i piedi ritmicamente. Rimane
così per un lungo minuto. “Ok, trovata. Pronta?” Apre gli occhi
e mi guarda.
“Pronta.”
“C'è
questa ragazza. Il suo nome è Margot.”
“E' un
racconto biografico?” chiedo sorridendo.
“Forse.
Margot vive da sola in una piccola casa. Ha un lavoro modesto, che le
permette di fare una vita tranquilla. Ha un mucchio di passatempi, e
un'amica speciale.”
“L'amica
si chiama Lilac, vero?”
“Vero,”
risponde lei, la voce sempre bassa e calma.
“Bene.
Abbiamo le due protagoniste. E poi? Cosa succede a Margot e Lilac?”
Baguette
si bagna le labbra con la punta della lingua prima di continuare.
“Lilac sta per diplomarsi e iniziare a lavorare. Il suo sarà un
lavoro diverso da quello di Margot. Più prestigioso, più
importante. Margot sa che Lilac merita il lavoro che ha ottenuto
studiando duramente, ed è convinta che lo svolgerà al meglio,
perché la conosce, e sa che Lilac è brava in ogni cosa che fa.”
Mi giro
verso di lei, ma non la trovo a guardarmi. Baguette sta osservando il
soffitto.
“Margot
è felice per Lilac, però non può fare a meno di temere che, una
volta iniziato il lavoro prestigioso, si accorga che Margot non è
poi così speciale come sembra. Che i suoi passatempi, in fondo, sono
solo sciocchezze, mentre i passatempi delle sue nuove colleghe sono
interessanti e, soprattutto, legali. Margot teme che Lilac possa
stufarsi di lei e decidere da un giorno all'altro che il suo lavoro e
le sue colleghe siano molto più interessanti di lei e dei suoi
racconti inventati. Margot non vuole che ciò accada, perché senza
Lilac, si sentirebbe persa. Margot sa che la sua vita quotidiana non
è importante o prestigiosa come quella di un'insegnante, ma spera
che Lilac non se ne accorga. O che scelga di continuare ad esserle
amica nonostante questo.”
Baguette
si ferma, ed è solo allora che si gira verso di me.
I suoi
occhi sono lucidi.
“Pensi
davvero queste cose?” chiedo in un respiro.
Lei non
risponde, ma scrolla le spalle.
“Baguette?
Davvero?”
Sposta
lo sguardo verso il soffitto, e usa la mano sinistra per coprirsi gli
occhi, come per nascondersi.
Mi giro
sul fianco con un movimento rapido, allora. Appoggio la testa sul
palmo della mano, e uso quella libera per scostare la mano dai suoi
occhi. Non la lascio andare, ma intreccio le dita con le mie.
“C'è
questa ragazza,” dico lentamente. “Il suo nome è Lilac.”
Baguette
prova a sorridere, ma sembra quasi che si stia sforzando per
mostrarsi tranquilla.
“Lilac
vive con la nonna in una casa troppo grande per due donne, sta per
diplomarsi, e ha un'amica molto speciale.”
“Che
si chiama Margot?” chiede lei dopo essersi schiarita la voce.
“No,”
rispondo convinta. “Si chiama Baguette. Lilac è giovane, ma ha già
un mucchio di dubbi, di paure. Riuscirà a ricordare il discorso che
ha preparato? Sarà in grado di brillare durante la cerimonia per il
diploma, come si aspettano da lei tutte le insegnanti? Sarà, a sua
volta, una brava insegnante? Le bambine penseranno che è simpatica e
preparata, oppure la detesteranno? Lilac non riesce a trattenere i
dubbi, né a trovar loro risposta. A volte è come se fossero un peso
così grande da impedirle quasi di respirare. Lilac ha un punto di
forza, però. La più grande certezza della sua vita.”
Quando
continuo, la voce è talmente bassa che credo lei non possa sentirmi.
“Sai come si chiama quel punto di forza?”
Lei
stringe le mie dita, ma fa segno di no con la testa.
“Sei
tu, Baguette. Io so che posso contare su di te, sempre. E lo stesso
vale a parti invertite. Pensi davvero che potrei mai stancarmi della
nostra amicizia? Pensi davvero che il nuovo lavoro possa farmi
allontanare da te?”
Non dice
nulla, ma scrolla di nuovo le spalle.
“Mai,”
dico con un filo di voce. “Mai, Baguette.”
“Sarebbe
normale,” sussurra. “Non te ne farei una colpa, Lilac. Voglio che
tu lo sappia. Non ti porterei rancore.”
“Ti ho
appena detto che sei il mio punto di forza,” dico, sforzandomi di
rimanere calma perché il suo discorso sembra quasi rassegnato, e non
mi piace che Baguette si senta rassegnata su una cosa del genere.
“Perché pensi queste cose? Perché dovrei allontanarmi da te?”
Quando
rimane in silenzio, scuoto la sua mano: “Baguette, parlami.”
“Mia
madre diceva sempre che le amiche ti lasciano. Si allontanano, oppure
ti scacciano. Accade sempre.” Inspira ed espira due volte prima di
andare avanti. “Diceva che è normale, soprattutto dopo il
diploma.”
“Forse
lo è,” dico, avvicinandomi di più a lei, “ma non per noi. Io
non voglio allontanarmi, io voglio continuare ad esserti amica.”
Baguette
mi guarda dritto negli occhi. I suoi sono chiari, limpidi. Sempre
accesi di energia. In alcuni casi, però, è come se un velo di
tristezza scendesse su di essi. E quando, nonostante quel velo, si
sforza di ridere come fa ora, so che mi sta nascondendo qualcosa.
“Che
c'è?” dico, accarezzandole i capelli. “Cos'è che non mi dici?”
Le sua
mano è nella mia. Uso il pollice per sfiorarne il dorso.
“Quando
inizierai ad insegnare, e avrai tante nuove colleghe attorno, io
penso che... No, io sono convinta che loro ti-”
La sua
voce si blocca quando il telefono inizia a squillare. Baguette chiude
gli occhi e sospira, prima di rotolare sul letto fino al comodino per
rispondere.
“Sì,
Rose? Certo, me ne ricordo. Alle cinque, certo.” Pausa. “Sì,
l'ho finita questa mattina, è molto carina.” Si volta a guardarmi
per un momento, mentre la signora Johnson le parla a voce così alta
che anch'io riesco a sentirla. “D'accordo,” continua Baguette,
controllando l'orologio che ha al polso. “Fra quaranta minuti sarò
lì. A più tardi.”
Interrompe
la comunicazione in silenzio, e in silenzio rotola fino a tornare al
mio fianco. Sistema i capelli dietro le orecchie, e unisce le mani
sullo stomaco. Io la guardo dall'alto, con la testa appoggiata sul
palmo. “Vai avanti,” dico, evitando di chiederle cosa volesse La
Vecchia. “Sei convinta che le mie nuove colleghe...?”
Baguette
impiega qualche secondo per rispondere. “Penso che loro saranno più
interessanti di me,” dice, e sembra quasi che lo faccia
meccanicamente. “Tutto qui,” aggiunge, prima di passarsi le mani
sul viso. “So che non hai intenzione di allontanarmi, Lilac. So che
il nostro rapporto non cambierà.”
“Ne
sei convinta?” chiedo. “Davvero?” Scruto i suoi occhi alla
ricerca del velo, ma non lo vedo. “Perché a me non importa se e
quanto potranno essere più interessanti le mie colleghe. A me
importa di te.”
“Sì,”
dice. Sorride. “Lo so. Scusa se mi sono fatta prendere dal panico.
A volte la mia mente ragiona male.”
“A
volte?” dico, sollevando le sopracciglia.
Lei
ride. Rido anch'io.
Poi
controlla l'orologio. “Fra mezz'ora devo essere a casa di Rose, e
tu hai un discorso da farmi ascoltare per la millesima volta, o
sbaglio?”
“Sì,”
rispondo, “ma prima dimmi che è tutto ok. Che non pensi davvero
quelle cose.”
Appoggio
la mano sui suoi capelli per costringerla a guardarmi di nuovo negli
occhi.
“E'
tutto ok, Lilac,” dice con sincerità. “Giuro.”
“Va
bene.” Mi chino su di lei per darle un bacio sulla guancia. “Vado
a prendere il tablet. Ho apportato delle modifiche. Voglio il tuo
parere.”
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